"Noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza." (E. Malatesta)
01/05/2006
Il recente attacco che a Nassiriya ha causato la morte di tre soldati
italiani e di un rumeno ha rinfrescato la memoria a tutti gli italiani
ricordando in maniera tanto brutale quanto naturale che la guerra
è guerra, in guerra si muore, ed è orribile per questo.
Negli ultimi anni lo stato italiano ha interpretato egregiamente il
proprio ruolo mistificatore e assassino in questo dramma planetario
della guerra permanente. La guerra viene chiamata "pace", le missioni
militari sono missioni "umanitarie", le invasioni e le occupazioni
militari sono "esportazione di democrazia", i bombardamenti sono sempre
"chirurgici", e le modalità per sparare sulle persone sono
definite "regole d'ingaggio". Di fronte a questa ipocrisia, la guerra
non guarda in faccia nessuno. I soldati sono fatti per ammazzare ed
essere ammazzati, e il popolo resta stritolato in un meccanismo infame
e impietoso, più grande di tutto. L'Iraq è un paese
straziato, umiliato da un'occupazione che ha provocato centinaia di
migliaia di morti e dilaniato da uno scontro di potere fra occupanti
occidentali da un lato, e interessi incrociati della multiforme
resistenza irachena dall'altro. In Italia la classe politica è
animata dagli sciacalli di sempre, pronti a banchettare su altre tre
bare avvolte nel tricolore: da destra a sinistra tutti esprimono
cordoglio e tutti condannano l'accaduto. In particolare, il
centrosinistra si attorciglia disgustosamente nell'ambiguità e
nella cattiva coscienza di chi si appresta a governare e deve decidere
se proseguire o meno le proprie avventure militariste in Afghanistan,
Bosnia, Kosovo e Albania. Vale la pena ricordare le gesta dei soldati
italiani in Iraq, protagonisti nell'aprile e nell'agosto del 2004 di
due furiose battaglie per il controllo dei ponti di Nassiriya con
centinaia di vittime e feriti tra la popolazione e un'ambulanza
irachena crivellata dalle pallottole italiane. La normalità
della guerra, è il caso di dirlo, non certo di una missione di
pace. Ci disgusta la militarizzazione crescente della società
italiana che non offre nessuna prospettiva ai giovani se non quella di
arruolarsi volontariamente per fare il poliziotto, il carabiniere o il
soldato. I tagli ai servizi pubblici, ai salari, alle pensioni, alla
scuola, alla sanità sono tutti funzionali al finanziamento e al
mantenimento dei professionisti della violenza: allo stato serve carne
da cannone e se la procura creando masse di precari e disoccupati da
mandare al fronte. La guerra uccide i popoli che la subiscono e i
soldati che la fanno perché la guerra é il terrorismo
degli stati. L'unico atto di coraggio da compiere é quello di
dissociarsi dalle forze armate, di rifiutare la ferma volontaria, di
disertare ogni possibilità di collaborare con gli apparati
militari. L'unico modo per non piangere altri morti e consolare altre
vedove e altri orfani é prendere coscienza che la guerra ha
bisogno di ciascuno di noi, ma noi non abbiamo bisogno della guerra.
CONTRO TUTTE LE GUERRE E TUTTI GLI ESERCITI CONTRO LO STATO E IL MILITARISMO
OBIETTA, DISOBBEDISCI, DISERTA!
Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana - FAI
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