"Noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza." (E. Malatesta)
Le condanne a quattro anni di reclusione con rito abbreviato
comminate a diciotto degli antifascisti che manifestarono a Milano lo
scorso 11 marzo contro il corteo fascista di Fiamma Tricolore pesano
come un macigno sull'agibilità politica di ciascuno di noi. Non
si tratta semplicemente di una questione interna al movimento
antifascista né di un affare privato di chi si dichiara
militante. Molto più gravemente, si tratta di un attacco
frontale mosso dallo stato italiano contro l'idea stessa di
partecipazione e mobilitazione politica. Ciò significa che, come
spesso accade, il potere colpisce indistintamente attraverso una
funzionale torsione delle sue stesse regole e dei suoi stessi codici
che solo formalmente dovrebbero garantire diritti uguali per tutti, ma
che nella sostanza si adattano alla volontà politica di chi
esercita l'atto repressivo. Con questa sentenza, la magistratura rivela
pienamente la sua funzione ricorrendo alla fattispecie di reato del
"concorso morale" per applicare il provvedimento repressivo non
già sulla base della contestazione di fatti o comportamenti
specifici bensì sulla base di una semplice partecipazione a una
manifestazione o iniziativa pubblica: è sufficiente essere
presenti per essere condannati, è sufficiente condividere il
contenuto politico di una mobilitazione per essere denunciati, è
sufficiente pensarla in un certo modo per essere colpiti. Non ci
sorprende affatto questo apparente crollo delle garanzie giuridiche di
tutela della libertà di espressione perché sappiamo che
nessun potere - nemmeno quello di un sistema democratico - può
tollerare davvero il conflitto sociale. In ogni caso, non possiamo non
registrare l'estrema pericolosità di questo laboratorio di
repressione a cielo aperto che è diventata l'Italia da quando a
Genova nel luglio di cinque anni fa si verificò un pesante salto
di qualità nelle strategie di totalitarismo democratico che in
nome della guerra al suo terrorismo ha di fatto dichiarato guerra alla
libertà di tutte e tutti. La sentenza di Milano dimostra ancora
una volta che l'unico soggetto che davvero devasta e saccheggia
è lo stato attraverso una lucida volontà di annientamento
di ogni forma di idee e pratiche ad esso incompatibili. Per rispedire
al mittente il portato criminalizzante di questo attacco politico
all'antifascismo è più che mai necessario riscoprire il
desiderio dell'utopia e la volontà sovversiva nelle lotte che
nessun tribunale potrà mai fermare.
Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana - FAI
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