Mozioni e documenti della Federazione
Anarchica Italiana
Mozioni approvate dal XXVIII Congresso della FAI, Carrara 31 ottobre-3 novembre 2013
Mozione punto 1
Evoluzione della crisi economica, sociale e politica in Italia e in
Europa fra possibilità di rivolta sociale e segnali di
involuzione autoritaria. Ruolo degli stati nazionali e meccanismi di
governance transnazionale.
Premesso che una reale comprensione dello scenario economico attuale
è resa difficile dalle menzogne dei governi e dalla mancanza di
dati attendibili, cerchiamo di delineare i possibili scenari che
abbiamo davanti.
Dall'inizio della crisi ad oggi la produzione industriale in Italia
è crollata del 25%; questo può dare seguito ad
un'ulteriore contrazione della produzione, con ripercussione in tutti i
settori economici, oppure ad una lenta ripresa. Quest'ultimo scenario
è quello che viene propagandato ed auspicato dal governo e dalle
istituzioni economiche, propaganda quantomai vana dal momento che
è già stata costantemente fatta negli anni precedenti
dagli stessi personaggi.
In entrambi i casi le condizioni dei ceti popolari e degli sfruttati
sono destinate a peggiorare, per motivi evidenti nel primo caso –
diminuzione dell'occupazione e conseguentemente del reddito. Nel
secondo scenario i leitmotiv della competitività e della
produttività da incrementare per non perdere il treno della
ripresa porteranno inevitabilmente a ulteriori compressioni dei salari
ed aggravi delle condizioni di lavoro, non ultime quelle legate alla
sicurezza.
I due scenari che abbiamo delineato non sono certo necessariamente
esclusivi, ma potrebbero anche essere presenti entrambi in diverse
combinazioni e con variazioni anche significative a livello
territoriale.
Le scelte economiche del governo sono decisive per il rilancio
dell'accumulazione capitalistica, innanzitutto permettendo il
trasferimento di ricchezza dagli strati popolari alle classi
privilegiate, ottenuto con il taglio del welfare, le privatizzazioni e
la politica fiscale, così come con la politica delle grandi
opere e delle spese militari destinate a creare un mercato per le
grandi imprese a scapito della produzione di beni e servizi per la
popolazione; infine con la politica del debito pubblico finalizzata a
rastrellare e centralizzare il risparmio privato per metterlo a
disposizione della finanza.
Anche quella che il padronato e lo stato chiamano "ripresa economica"
avrebbe ripercussioni deleterie sulla composizione di classe. I
migliori risultati di alcune aziende produrrebbero limitati benefici
per alcuni settori di lavoratori, giustificando l'illusione di
un'identità d'interessi tra lavoro e capitale, ma il tutto in un
quadro complessivo di esclusione sociale, di precarizzazione, di
limitazione delle possibilità di autorganizzazione e di azione
diretta.
Una eventuale ripresa economica inasprirebbe la competitività
tra le aziende e fra gli stati, alla ricerca di sbocchi commerciali e
di fonti di materie prime oltre ad una diminuzione della
solidarietà tra le classi lavoratrici dei vari paesi.
Detta competizione è già parzialmente in atto attraverso
le guerre valutarie fra le principali monete mondiali e la politica
protezionista dei governi.
Questi scenari, comunque si evolvano, implicano un aumento della
conflittualità sociale, per la quale i governi si stanno
già attrezzando con diversi laboratori di repressione e
ingegneria sociale. L'impoverimento dei ceti popolari, la devastazione
del territorio, l'aumento della competizione con l'estero implicano
l'adozione di meccanismi di guerra interna ed esterna con il
disciplinamento dei lavoratori anche attraverso la fattiva
collaborazione dei sindacati di stato, con la militarizzazione dei
territori e la riorganizzazione delle forze armate per l'intervento
all'estero.
A queste politiche sociali corrisponde a livello istituzionale
l'esautorazione degli organi rappresentativi e l'accentramento dei
poteri negli esecutivi, sia a livello locale che a livello nazionale e
sovranazionale. La ripercussione immediata di questa situazione
è la repressione sistematica e preventiva nei confronti degli
anarchici e degli altri militanti rivoluzionari e dei movimenti di
massa, anche per mezzo della normazione della vita sociale che arriva
fino alle ordinanze comunali per il cosi detto decoro urbano che
pretendono di disciplinare i comportamenti e le abitudini personali.
Il XXVIII Congresso della F.A.I. ritiene centrale continuare a seguire
l'evoluzione della situazione politica ed economica e mantenere vivo e
aggiornato il dibattito sull'argomento per poter mettere in campo
un'azione mirata ed efficace.
Mozione punto 2
Il XXVIII Congresso della Federazione Anarchica Italiana individua nel
militarismo un nodo fondamentale sia nell'evoluzione dei rapporti di
potere tra gli stati, come nell'applicazione delle scelte di governo
attraverso la repressione e il controllo sociale. Infatti a fianco di
una guerra esterna ormai permanente, resa necessaria dai rapporti
imperialistici e dall'esigenza di svuotare gli arsenali per foraggiare
con nuove commesse l'industria bellica, si sviluppa ulteriormente la
guerra interna ad ogni dissenso, attraverso la militarizzazione dei
territori e la propaganda guerrafondaia e patriottica. Gli sviluppi
della crisi economica, inoltre, stanno conducendo ad una maggiore
concorrenza internazionale tra gli stati, che favorisce lo sviluppo di
conflitti e guerre di vario tipo. In questa ottica la questione del
militarismo attraversa tutti gli ambiti d'intervento della Federazione;
per questo è necessario non solo definire un intervento
specifico sull'antimilitarismo, ma inserire questa tematica in ogni
iniziativa, come elemento fondamentale e caratterizzante.
Negli ultimi anni si sono modificate ancor più radicalmente le
strategie e le metodologie del militarismo nazionale ed internazionale:
nell'idea di vittorie veloci frutto della superiorità tecnica e
nella volontà di ampliare sempre di più i margini di
profitto dell'industria bellica, gli stati stanno sviluppando forme di
guerra sempre più asettiche e ad alta tecnologia.
I droni, i bombardieri, le flotte e le task force, portano avanti il
terrorismo di sempre, diminuendo però il numero di soldati sul
terreno, poiché le perdite andrebbero ad incrinare in patria il
precario consenso attorno alle missioni militari.
D'altra parte, la realtà dei conflitti assume sempre più
forme di "Contro-insorgenza" contro nemici interni ed esterni le cui
reciproche differenze sono sempre più labili.
In questo contesto, nei conflitti degli ultimi anni, queste strategie
non si sono rivelate vincenti ed anche per questo risulta senza dubbio
ridimensionato il ruolo degli Stati Uniti come potenza militare
mondiale.
Nonostante ciò l'Italia continua ad essere subordinata agli USA,
che vi mantengono numerose Basi e vi hanno addirittura triplicato la
percentuale di presenza militare rispetto al resto d'Europa.
A sua volta, lo Stato italiano prova, tramite il ridislocamento delle
proprie forze armate, a riproporsi come potenza nello scenario
mediterraneo e come "pacificatore" ultimo delle conflittualità
territoriali interne.
La Federazione da sempre è impegnata nelle lotte
anti-militariste, dalle campagne contro le installazioni
dell'imperialismo NATO e USA (quali Sigonella ed il MUOS) a quelle per
fermare gli sprechi e le speculazioni delle industrie belliche, per
impedire le avventure di guerra all'estero e per decostruire ogni
retorica nazionalista e nostalgica.
Gli anarchici federati, inoltre, ritengono che, di pari passo con la
crescente militarizzazione dei territori e con l'impiego dell'esercito
nella repressione dei movimenti popolari, debba esserci un rinnovato
impegno nell'anti-militarismo.
A questo scopo si individuano i seguenti ambiti:
- problematiche legate al fenomeno di guerra interna ed esterna;
- in sostegno alle lotte NO MUOS e NO TAV, contro la militarizzazione dei territori;
- sostegno e coordinamento delle attività sviluppate a livello locale dai vari gruppi;
- approfondimento delle tematiche trattate nella mozione specifica relativa all'antimilitarismo.
Mozione punto 3
Negli ultimi anni, in varie parti del mondo, si sono sviluppati
significativi movimenti popolari, lotte radicali e fenomeni di
insorgenza in contesti urbani.
Anche in Europa il forte disagio sociale provocato dalla crisi ha dato
vita a forme di protesta e di mobilitazione che hanno coinvolto ampie
fasce di popolazione, specialmente quella giovanile. Ancor più
significativamente, il versante sud del Mediterraneo è stato
attraversato da duri conflitti sociali finalizzati a mettere in
discussione gli assetti di potere dominanti, quanto meno in direzione
di una maggiore libertà – individuale e collettiva – e di
migliori condizioni di vita.
I conflitti in Nord Africa, così come quelli in Turchia, sono in
continua evoluzione, e devono fare i conti sia con i tentativi di
normalizzazione agiti dall'esterno, sia con la repressione interna del
dissenso e il recupero in chiave autoritaria da parte di formazioni
politiche di ispirazione religiosa e reazionaria.
In Italia, a fronte di una crisi economica e sociale devastante –
aggravata dai continui attacchi ai ceti popolari e, più in
generale, ai diritti e alle libertà di ciascuno – non si
registrano, complessivamente, mobilitazioni sociali ampie e
significative.
Il paese sembra narcotizzato: la società italiana è stata
metodicamente de-politicizzata negli ultimi trent'anni dalla
devastazione culturale operata dai mass media e alimentata dalla classe
politica. Il galoppante impoverimento della maggior parte dei
cittadini, lungi dal sollecitare meccanismi di solidarietà o
volontà di rivalsa nei confronti dei responsabili di questo
sfacelo, ha prodotto – al contrario – un ripiegamento privatistico, un
diffuso qualunquismo, una palese ostilità nei confronti di chi
sta peggio, l'adesione acritica a modelli e stili di vita/consumo che
sono propri del capitalismo.
I motivi sono molti, e non tutti facilmente decifrabili. Certamente,
bisogna tenere in considerazione il fatto che l'Italia – a differenza
di altri paesi mediterranei – è una nazione anagraficamente
anziana e, quindi, meno predisposta a scommettere su una trasformazione
sociale radicale.
Nonostante questa tendenza generale, anche in Italia si sono sviluppate
delle importanti lotte popolari – che si potrebbero definire di tipo
territoriale – volte a contrastare i tentativi da parte del dominio
politico, militare ed economico di imporre dall'alto scelte e decisioni
collettive dagli effetti devastanti dal punto di vista sociale e
ambientale. In questo senso, pur nelle naturali differenze di contesto,
tra queste lotte si possono annoverare quella in Val Susa contro il
TAV, quella in Sicilia contro il MUOS, e le tante mobilitazioni contro
l'installazione di infrastrutture nocive (discariche, inceneritori,
siti di stoccaggio, ecc.).
Inoltre, nonostante un profondo mutamento dei paradigmi del conflitto
capitale-lavoro legati agli sconvolgimenti dei processi produttivi e di
creazione e distribuzione della ricchezza, anche in Italia si sono
sviluppati degli ambiti conflittuali importanti, specialmente nel
settore della logistica, proprio dove sono impiegati massicciamente
lavoratori immigrati altamente ricattabili dal padronato. Queste lotte
sono portate avanti nonostante, da più parti, si sia rilevata
l'involuzione burocratica di gran parte del sindacalismo di base che –
purtroppo – sta disattendendo i suoi intenti originari.
Da non dimenticare, infine, anche le crescenti lotte contro gli sfratti e per il diritto alla casa.
In questo quadro, le lotte territoriali e le vertenze conflittuali nel
mondo del lavoro, si stanno configurando anche come interessanti
laboratori per la costruzione di nuove relazioni sociali e politiche
basate sulla solidarietà, il mutuo appoggio,
l'autorganizzazione, l'azione diretta, l'impegno in prima persona.
Ciò significa che, nonostante la disarticolazione sociale del
paese, c'è una tensione libertaria che trova origine nella
crescente sfiducia e insofferenza nelle tradizionali forme delle
rappresentanza politico-sindacale e nella stessa classe dirigente.
Proprio per questo, l'anarchismo – nella sua teoria e nella sua prassi
– risponde sempre di più a un bisogno diffuso di partecipazione
e di protagonismo. Non è un caso, infatti, che gli anarchici
federati siano impegnati all'interno di molte di queste lotte, con un
intervento che mira al consolidamento di pratiche informate
all'autodeterminazione degli individui e delle comunità.
In questo quadro assumono sempre più rilevanza i progetti
concreti di socialità libertaria che varie realtà
federate stanno portando avanti in diversi ambiti: palestre popolari,
comuni agricole, esperienze di autoproduzione, gruppi di acquisto,
spazi di aggregazione sociale, orti urbani, occupazioni, ecc.
Queste esperienze – che vanno ampliate e coordinate – sono importanti
poiché permettono di sviluppare nuove relazioni sociali e di
diffondere, con l'esempio concreto, approcci autogestionari
riconoscibili e praticabili.
Le lotte territoriali, le lotte autorganizzate dei lavoratori e le
sperimentazioni libertarie e autogestionarie, prefigurano – qui e oggi
– una prassi di esodo conflittuale quotidiano dalla società del
dominio.
Costruire queste importanti condizioni significa gettare concretamente le basi per una trasformazione sociale rivoluzionaria.
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