"Noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza." (E. Malatesta)
Di fronte al massacro in atto nella Siria del Nord, è necessario rafforzare il movimento di opposizione
alla guerra condotta dallo stato turco (con il beneplacito di Siria, Russia e paesi NATO), di solidarietà
alle popolazioni del Rojava e a sostegno della sperimentazione politica e sociale in quella regione.
In particolare è da smascherare il ruolo dello stato italiano che nonostante le dichiarazioni del governo
i questi giorni sostiene apertamente la politica militare di Ankara. L'Italia e la Turchia sono entrambe
nella NATO, e solo nel 2018 l'Italia ha venduto armi alla Turchia per un valore complessivo di 362,3
milioni di euro. Nonostante i proclami la consegna di armi continuerà anche nei prossimi anni. L'Italia
mantiene inoltre una missione militare inquadrata nella NATO a supporto dell'esercito turco, proprio al
confine tra Siria e Turchia con circa 130 soldati e una batteria antimissile.
Facciamo appello alla partecipazione alle varie manifestazioni previste nei prossimi giorni e in
particolare il 26 ottobre a Milano e il 1 novembre a Roma e Trieste.
Dal 9 ottobre lo Stato turco ha dato inizio all'invasione del Rojava e intrapreso una nuova guerra
contro la Federazione della Siria del Nord con bombardamenti indiscriminati e con l'attacco di forze di
terra.
Per il governo turco è necessario annientare un pericoloso esempio di resistenza e di sperimentazione
di libertà nella regione, basato su comunità che hanno deciso di abbracciare una rivoluzione confederale,
femminista ed ecologista dirompente.
Questo è il vero motivo dell'attacco. Anche se, come inizialmente
dichiarato dalle autorità turche, l'operazione "Sorgente di Pace" si limitasse a "mettere in sicurezza"
un'area profonda 30 km lungo tutto il confine, la guerra sarà devastante. Proprio in questa fascia di
territorio infatti sorgono numerose città e centri che hanno un ruolo importante nella sperimentazione
sociale in atto nella regione. In questa zona sorge anche Kobanê, che fu liberata dall'assedio dello
stato islamico e dell'esercito turco nel gennaio 2015 grazie alla resistenza della popolazione, delle
milizie YPG e YPJ, e alla solidarietà internazionale.
Una nuova guerra di espansione serve a Erdoğan,
il presidente turco, per mantenere un consenso che mostra le prime vistose crepe. Come due anni fa
durante l'invasione di Afrin, anche oggi tutti i partiti parlamentari tranne l'HDP si schierano a
sostegno dell'esercito turco e della nuova campagna militare. Questo permette a Erdoğan e al blocco
di potere dell'AKP di ottenere anche il sostegno del principale partito di opposizione, il CHP. Arruolare
nella guerra le opposizioni è molto utile dopo che il partito di governo continua a perdere consensi, in
una fase in cui la grave crisi economica che attraversa il paese rischia di estendere il malcontento e
trasformarlo in opposizione sociale.
Lo Stato turco scatena la guerra con ogni mezzo, dai bombardamenti
sulla popolazione civile che già hanno provocato centinaia di morti e feriti, migliaia di profughi,
distruzione e sofferenza, fino alla riattivazione militare dello Stato Islamico. Nei prossimi giorni
cominceranno i massacri ad opera delle truppe di terra turche sostenute da 14.000 mercenari assoldati
anche tra i miliziani dello Stato Islamico sconfitti.
Questo significa pulizia etnica e deportazioni nei territori che proprio le milizie del Rojava avevano
liberato dal califfato.
La popolazione è in serio pericolo e le forme di autoorganizzazione sociale che
sono state sperimentate in questi anni rischiano di essere cancellate.
I massacri, gli stupri, la pulizia
etnica e la sostituzione della popolazione, l'esodo di massa, che hanno segnato tragicamente l'invasione
turca di Afrin, potrebbero ripetersi nel resto del Rojava. Quando lo stato turco minacciò di invadere il
Rojava al tempo dell'assedio di Kobane, 5 anni fa, era stato fermato dalla resistenza locale e dalla grande
mobilitazione internazionale di solidarietà. Oggi, di fronte a questo più grave attacco, è necessario reagire
nuovamente, per fermare la guerra.
Solo un forte movimento di solidarietà internazionale può sostenere la
resistenza, può fermare 'offensiva dello stato turco e fermare la guerra tramite mobilitazioni popolari
dal basso che rilancino una critica antimilitarista e antiautoritaria delle gravi responsabilità delle
potenze globali e regionali che hanno usato la Siria come un campo di battaglia per i loro interessi
imperiali dagli Stati Uniti di Trump alla Russia di Putin, dal regime autoritario di Assad all'ipocrisia
dell'Unione Europea.
Per questi motivi saremo in piazza in questi giorni e invitiamo tutti e tutte a
mobilitarsi a fianco di chi lotta e resiste all'attacco dell'esercito turco e delle milizie dello Stato
Islamico, ai bombardamenti, agli incendi, alle torture.
Solidarietà alla resistenza in Rojava,
solidarietà a coloro che hanno combattuto e combattono il fanatismo religioso e tutte le forme
di autoritarismo!
Sempre con chi lotta per la libertà e l'uguaglianza, contro tutti gli stati.
Convegno nazionale della FAI
20 ottobre 2019
web-fai@federazioneanarchica.org