"Noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza." (E. Malatesta)
Mozione approvata al XXV Congresso della F.A.I. (Carrara 29/10-1/11 2005)
L'urgenza dell'anarchia non è un mero auspicio delle
anarchiche
e degli anarchici riuniti a Carrara per il XXV Congresso della FAI,
bensì una necessità di salvezza per 6 miliardi di
individui.
La guerra permanente scagliata contro l'umanità da parte di
ceti
politici criminali comincia visibilmente a sradicare le materiali
condizioni di vita di cui gli stati non hanno mai avuto la
capacità, e men che mai adesso, di garantire. Guerra,
disastri
ambientali, impoverimento crescente dei popoli sono la
realtà
quotidiana che dimostra concretamente come l'ordine dello stato e del
capitale sia caos e morte.
Queste, che sono state le storiche condizioni di vita per tre quarti
della popolazione del pianeta, toccano ora anche i "benestanti"
cittadini rinchiusi nelle fortezze blindate da quelle elite criminali
che dominano attraverso gli strumenti bellici, le tecnologie di
sorveglianza di massa a distanza, la segregazione, l'incarcerazione
diffusa, l'esproprio di sapere critico, la drastica compressione del
reddito, la devastazione ambientale.
L'attacco erosivo dei residui margini di libertà e di
autonomia,
strappati dalla conflittualità sociale e concessi attraverso
le
norme liberali dei regimi democratici, fa registrare un aumento della
torsione del diritto in arbitrio del più forte.
In questi ultimi 10 anni nel nostro paese sono stati affinati, prima
dal centro-sinistra e poi dal centro destra, una serie di strumenti
legislativi che sono lo specchio delle politiche liberticide e di
sfruttamento sempre più selvaggio, caratteristiche di questa
epoca in cui si saldano strategie globali e governi nazionali.
Sono quelle che chiamiamo "leggi di guerra", perché sono
strumenti della guerra degli oppressori contro gli oppressi, una guerra
transnazionale che si combatte con le bombe fuori dai confini e con
leggi autoritarie all'interno dei confini. Sono leggi che hanno fatto
morti e feriti.
Ci riferiamo alla legge 30 (figlia del pacchetto Treu), che ha sancito
la legittimità della precarietà infinita del
lavoro, del
suo divenire merce di scarso valore della quale è sempre
più difficile ricontrattare il prezzo, controllare la
sicurezza.
La precarizzazione riduce la capacità e la
possibilità di
contrastare gli abusi padronali. Basta dare un'occhiata alle
statistiche degli infortuni sul lavoro per rendersi conto
dell'ulteriore imbarbarimento della guerra di classe.
E poi la Bossi-Fini, una legge razzista che sancisce il legame tra
lavoro e permesso di soggiorno, trasformando i lavoratori in schiavi e
i disoccupati ma anche i lavoratori in nero, in clandestini da
rinchiudere ed espellere. Le centinaia e centinaia di morti affogati
lungo le nostre coste sono vittime della Bossi-Fini e della precedente
Turco-Napolitano.
Ed infine il pacchetto Pisanu, venuto a dar maggior vigore punitivo ad
un apparato legislativo pensato per reprimere ogni forma di opposizione
sociale. Non è un caso che certe leggi vengano
sistematicamente
usate per reprimere le lotte sociali. In questi mesi abbiamo visto
accuse di associazione sovversiva o devastazione colpire i partecipanti
ai picchetti, occupanti di case, manifestanti, lavoratori in sciopero,
migranti in lotta.
A ciò si aggiunga un generico legiferare che ha il suo
fulcro
nella tutela dei potenti e nell'accanimento contro i senza potere.
All'accumulo di privilegi fa da contrappunto un saccheggio sistematico
di risorse, che vede cadere ogni forma di tutela dell'ambiente, dei
lavoratori, dei beni comuni.
Affronteremo quindi i temi intorno ai quali riteniamo necessario che la Federazione si doti di strumenti adeguati a coordinare e stimolare la lotta.
Sul fronte del lavoro
La guerra del lavoro è divenuta negli ultimi anni sempre
più aspra, concretandosi in un'offensiva padronale e
governativa
di estrema durezza. Le risposte all'offensiva non sono state purtroppo
adeguate alla posta in gioco. La logica concertativa, le derive
corporative, la burocratizzazione degli apparati sindacali sono una
cappa asfissiante di cui i lavoratori si devono sbarazzare.
Il lavoro precario - Legge 30, altrimenti detta legge "Biagi" -
è divenuto sempre più precario, al punto che
sarebbe
più corretto parlare di lavoro usualmente precario e
occasionalmente "garantito".
Lo sviluppo di lotte, coordinamenti, iniziative dei lavoratori precari
non è né semplice né scontato nei
risultati. A
maggior ragione è necessario perciò far conoscere
le
esperienze, le lotte che si sviluppano in questo settore sociale e
favorirne il coordinamento con le lotte generali dei lavoratori.
Lo stesso si può dire per il lavoro migrante, spesso in
nero, ma
comunque ricattato e privo anche delle minime tutele. Per il lavoro
femminile, sempre poco, meno pagato e meno garantito di quello
maschile, a conferma che l'asse della povertà anche nel
nostro
paese ha una discriminante di classe ma anche una di genere.
La ristrutturazione del processo produttivo e dell'inquadramento del
lavoro oggi viene realizzata attraverso la esternalizzazione che copre
tanto gli assetti industriali pubblici e privati, quanto la sfera dei
servizi (sanità, gestione del territorio, previdenza,
trasporti,
scuola). Ciò crea frammentazione e precarietà che
acuiscono la divisione del lavoro sia all'interno delle aziende che fra
le diverse categorie. L'incertezza sulla propria condizione reddituale
accentua la subordinazione dei lavoratori rendendo più
difficile
i percorsi di autoorganizzazione collettiva.
La de-territorializzazione operata dal capitale, con la divisione tra
lavoratori impegnati nella stessa unità produttiva o di
servizio, con lo "spostamento" dei nuclei produttivi sia all'interno
che all'esterno dei confini nazionali, deve trovare una risposta nella
ri-territorializzazione delle lotte: questioni quali la casa, i
servizi, il reddito, la devastazione dell'ambiente sono ambiti in cui
costruire conflitto e autogestione delle lotte e della vita.
Come dimostrano le direttive europee, quali la Bolkestein, il terreno
di lotta non è solo locale ma deve estendersi; costruire
percorsi solidali e di autoorganizzazione internazionale è
il
percorso storico dei lavoratori che vogliano emanciparsi.
L'indebolimento della capacità contrattuale dei lavoratori,
troppo spesso delegata ai sindacati istituzionali nonché ai
loro
protettori politici, ha ridotto sensibilmente il salario. Ce ne
accorgiamo ogni giorno: è sempre più difficile
arrivare
alla fine del mese, usufruire di servizi sociali che diventano sempre
più scarsi e più costosi.
L'egemonia finanziaria nelle economie capitalistiche odierne detta
direttamente le politiche governative con l'effetto di comprimere il
reddito utilizzabile dalla massa dei lavoratori e di ridurre le
possibilità di reddito utilizzabile dalla massa dei
disoccupati.
A fronte delle ricorrenti resistenze a tali politiche, la risposta del potere è quella di restringere sempre più le libertà associative e di manifestazione del dissenso. Le leggi antisciopero, le continue precettazioni oltre alle più generali norme repressive, tendono a negare la possibilità di autoorganizzazione. Nell'attacco all'organizzazione autonoma dei lavoratori si distingue l'azione complice dei sindacati istituzionali e della cosiddetta "sinistra" del palazzo.
Per gli anarchici l'autoorganizzazione, sia stabile (sindacale), sia
connessa allo sviluppo di movimenti contingenti (coordinamenti di
lotta, collettivi di lavoratori, ecc.) è importante
perché mette gli sfruttati nella condizione di essere
protagonisti, attraverso meccanismi decisionali libertari, all'interno
di strutture orizzontali nelle quali dare voce a chi non ce l'ha, dare
forza a chi ne è stato privato, costruire un ambito di
libertà che tenda a prefigurare relazioni sociali non
gerarchiche. In quest'ottica il metodo assume una rilevanza centrale,
che occorre in ogni occasione ribadire, poiché è
il
fulcro di un agire sociale libertario. Questo nella chiara
consapevolezza che solo l'accelerazione del conflitto sociale consente
la rottura dell'ordine dominante sotto il profilo simbolico non meno
che materiale. La percezione di sé come soggetti capaci di
autonomia politica e sociale è una scommessa che si vince
con la
lotta.
Nella definizione degli obiettivi delle lotte compito dei libertari
è sostenere ogni forma di autonomia dall'istituito rispetto
a
miglioramenti che si inseriscano nell'alveo della
statualità. Lo
sforzo degli anarchici deve costantemente essere volto all'allargamento
della coscienza libertaria degli sfruttati. Il miglior modo di
apprezzare la libertà consiste nel praticarla.
L'azione diretta, l'organizzazione orizzontale, il superamento dei
vincoli legalitari sono il terreno di coltura per il sedimentarsi di
una sensibilità libertaria, radicalmente antistatale ed
anticapitalista. Riteniamo pertanto prioritario che nei luoghi dello
sfruttamento, là dove si sviluppano lotte sindacali o
territoriali, occorra far riemergere con forza l'opzione libertaria,
sostenendo lo sviluppo di forme di conflitto fuori dalle pastoie delle
leggi vigenti, promuovendo il mutuo appoggio e la
solidarietà
dal basso.
Riteniamo importante costruire iniziative di collegamento del lavoro precario, migrante, parcellizzato che si facciano promotrici di comitati di appoggio alle lotte, di casse di resistenza e nell'organizzazione di momenti di controinformazione sul territorio.
Occorre puntare all'unità dal basso dei lavoratori, fornendo strumenti di critica e analisi atti a valorizzare l'autorganizzazione degli sfruttati, nel quadro di una forte autonomia dal potere politico, di critica e opposizione alle derive burocratiche all'interno delle strutture di autoorganizzazione dei lavoratori.
Sul fronte dell'immigrazione e del razzismo
L'Europa, con i trattati di Maastricht, Schengen, Dublino I e II, ha
stabilito il principio che la libera circolazione vale per le merci ma
non per quella particolare merce che sono i lavoratori immigrati. Nei
loro confronti in questi ultimi anni si sono moltiplicate le barriere
sia fisiche che legislative, alimentate da un clima culturale di
intolleranza.
Nel nostro paese la Legge 189/2002, la cosiddetta Bossi-Fini, che
modifica in peggio l'impianto della precedente Legge 40/1998, la
Turco-Napolitano promossa dal centro-sinistra, conferma e inasprisce
una vera e propria legislazione razzista e segregazionista.
In questi anni l'attività dei legislatori dei paesi europei
è stata frenetica: occorreva al più presto
adeguare le
norme per impedire l'accesso a stranieri indesiderabili, per fermare
"l'invasione degli straccioni", per limitare il diritto d'asilo, per
far sì che le espulsioni avvenissero a norma di legge. La
legge
del più forte. Sancita dai democratici parlamenti dei paesi
civili.
I migranti sono non-persone da sfruttare nei cantieri, nelle fabbriche,
nei campi, cui imporre condizioni occupazionali durissime sotto il
ricatto della perdita del lavoro, che significa la fine del diritto al
soggiorno nel nostro paese. Significa diventare "clandestini", "sans
papiers", indesiderabili da rinchiudere nei centri di detenzione per
immigrati o, se recidivi, in galera.
Uomini, donne e bambini affrontano ogni sorta di disagi e peripezie per
sfuggire dalla miseria, dalle persecuzioni, dalle guerre, dai genocidi,
cercando in Europa o negli Stati Uniti un luogo di salvezza e
sopravvivenza. Molti muoiono lungo la via: soffocati nelle
intercapedini dei camion, affogati nel Mediterraneo, schiacciati nelle
gallerie ferroviarie, uccisi dalle guardie di frontiera di Bush sulle
rive del Rio Grande e da quelle di Zapatero a Ceuta e Melilla, nei
mille confini blindati delle fortezze del Nord, ingannati e truffati
dai tanti malavitosi che, con la complicità della polizia
transfrontaliera, si arricchiscono grazie al trasporto di questa merce
umana. Non si può più parlare di emigrazione, di
singoli
che decidono di partire, poiché sempre più
marcatamente
quello cui assistiamo è un vero fenomeno migratorio, che
vede
muoversi interi gruppi sociali o etnici.
Il presumibile acuirsi del divario tra Nord e Sud non potrà
che
mettere in movimento masse sempre maggiori di persone. Un po' ovunque
sono sorti campi di detenzione per stranieri illegali. In Italia questi
centri, circondati dal filo spinato, con torrette di guardia e uomini
armati a presidiarle, somigliano a dei veri lager. Lager di Stato.
Uno Stato la cui politica nei confronti dell'immigrazione si
può
riassumere con una semplice e micidiale formula: selezione,
sfruttamento, lager, espulsione.
Opporsi alle politiche razziste è uno dei principali compiti
che ci attendono nei prossimi anni.
A nostro avviso gli assi prioritari di lavoro per chiunque voglia
contrastare queste politiche razziste sono:
Per fermare le politiche razziste non basta l'opposizione di principio ma occorre costruire un terreno di lotta comune sui temi della casa, dei servizi, delle libertà, del reddito che, in quanto lavoratori sfruttati, oppressi, inquinati sia i migranti che gli indigeni hanno in comune. Superare il razzismo significa rintracciare e rivitalizzare le ragioni dell'internazionalismo proletario, di chi, oltre gli Stati e oltre le frontiere, riconosce il proprio compagno di lotta in ogni sfruttato.
Sul fronte del militarismo
Siamo in guerra. Una guerra totale, permanente che attraversa il pianeta, distruggendo la vita, la libertà, la dignità, il futuro di milioni di uomini e donne.In particolare riteniamo che l'impegno contro il militarismo
dovrebbe svilupparsi intorno a questi temi:
Sul fronte del clericalismo
Chi si fosse illuso (e a sinistra erano sin troppi) che la chiesa
cattolica potesse rappresentare un baluardo contro il dominio della
merce nell'epoca del capitalismo trionfante non ha colto che il ruolo
della chiesa si stava sì ridefinendo ma nell'alveo della sua
più schietta tradizione. La chiesa oggi rappresenta un
puntello
per qualsivoglia governo del nostro paese e un importante supporter
anche altrove. La religione cattolica (ma, in generale, un identico
discorso si potrebbe fare per altre confessioni cristiane come anche
per l'islam o l'ebraismo) offre un argine al diluirsi delle
identità nel main stream della merce sempre uguale a Nairobi
come a Roma (al di là dei portafogli necessari
all'acquisto). Un
argine del quale nessun governo può fare a meno,
perché,
nonostante tutto, è più facile giustificare una
guerra
contro la barbarie islamica che una per il controllo delle risorse e
delle vie di comunicazione.
La chiesa, come moneta di scambio per la tutela morale nei confronti
dei governanti e dei governati, si arroga il diritto di dettare le
condizioni di vita di milioni di persone. In questi anni i preti stanno
incamerando giorno dopo giorno pezzi sempre più grossi della
nostra libertà: ieri la legge sulla fecondazione assistita e
domani, l'aborto, l'esclusione dei gay... Per non parlare dell'8 per
mille, dell'esenzione dall'ICI, dello stipendio degli insegnanti di
religione e di tutto quello che riescono ad arraffare.
Riteniamo pertanto necessario promuovere iniziative di carattere
politico e culturale in grado di contrastare il clericalismo avanzante
e di lottare contro le ingerenze clericali nella vita
pubblica,
smascherando la farsa della guerra di religione e offrendo spunti per
un dibattito ampio capace di coinvolgere anche i tanti che oggi a
sinistra si stanno facendo ammaliare dalle sirene clericali.
Quella che abbiamo di fronte è davvero una battaglia di civiltà, una battaglia che da anarchici abbiamo tutti gli strumenti per vincere, perché il nostro non è un pensiero subalterno, timorosa del proprio fondamento, incapace di far fronte alle sfide eluse da una modernità che non ha potuto/saputo compiere per intero il processo di secolarizzazione.
Sul fronte dell'autogoverno territoriale
Il concetto di rivoluzione tipico degli anarchici invita a intervenire
tanto per distruggere il potere quanto per ricostruire la
società senza dominio. Questa pratica di rivoluzione
proietta
l'affermazione di una società libera fuori e contro le
istituzioni, radicandosi nelle dinamiche sociali delle quali
valorizzare le istanze di libertà oggi sia pure minimamente
presenti. I luoghi della cittadinanza vanno strappati dalle griglie di
burocratizzazione politica e amministrativa, ma senza delegare la
necessaria gestione quotidiana della vita associata degli individui a
un ipotetico domani liberato e liberante, ma anzi assumendo tale
compito come pratica strategica e tattica di liberazione locale,
coordinandola sino alla scala federalista più alta.
Il sistema sociale gerarchico che nello Stato trova espressione, per
sua natura infatti, nega il federalismo e l'autogoverno comunitario,
né potrà mai affermarli.
Il federalismo degli stati e degli enti locali trova la sua ragion
d'essere nella regolazione della divisione del profitto fra industriali
e proprietari terrieri, fra profitto industriale e rendita, tra il
monopolio dei mezzi di produzione e il monopolio della terra e degli
immobili.
La soluzione di problemi quali la questione delle abitazioni o la
questione ambientale non può prescindere dalla lotta contro
la
rendita.
Il federalismo vero e l'autogoverno comunitario non possono certamente
essere istituiti per decreto. Di federalismo e autogoverno, tutti i
politicanti si sciacquano la bocca ma volutamente stravolgono l'essenza
di questi due ragguardevoli concetti: la costruzione in prospettiva di
una rete mutua e solidale di comunità autogestite ed
autogestionarie che si autogovernano in campo politico, economico,
culturale programmando il loro essere società fuori e contro
il
recinto in cui lo Stato centrale le vuole tenere ingabbiate.
Solo un impegno che parta dal basso, solo un progetto
sociale,
gradualista rivoluzionario, capace di costruire con proposte
praticabili nell'immediato cellule di società libertaria,
possono nel tempo edificare un reale federalismo economico e politico,
un federalismo che non nasca dalle illusioni di trasformare uno Stato
"centralista" in Stato "federale" o di dividere uno Stato in
più
Stati. Il federalismo reale non potrà mai né
essere
concesso dallo Stato, né aversi con la frantumazione di uno
Stato in più Stati.
Federalismo reale è quello che si costruisce dal basso, in
orizzontale, che nega lo Stato per sostituirlo in prospettiva con una
rete di liberi municipi autogovernati in senso extraistituzionale, e
federati nei principi del mutualismo e della solidarietà.
Noi riteniamo, pertanto, che l'anarchismo sociale:
debba saper promuovere con proposte e iniziative politiche e sociali la
formazione di strutture di massa aperte, di base e autogestionarie,
proiettate verso un mondo nuovo, verso una società senza
più dominio;
debba sapersi aprire a quanti si riconoscono su valori genuinamente
anticapitalisti e di azioni sociali alternative fuori da ogni recinto
gerarchico e politico di parte;
debba saper andare fra i lavoratori, fra gli sfruttati, nelle strutture
di lotta territoriale e ambientale, nei movimenti, nei quartieri, nelle
nostre comunità non solo con l'obbiettivo di rendersi
visibile
con la propaganda dei propri ideali o con il proprio sostegno verso
rivendicazioni protese a migliori condizioni di vita, ma anche per
cominciare a realizzare questa pratica gradualista di autogoverno;
debba saper stimolare e attuare, laddove e quando si renderà
possibile, strutture sociali di lotta complessiva, strutture
comunaliste e di autogoverno.
Sul fronte della repressione
Gli anarchici sono sempre stati oggetto delle attenzioni repressive del
potere per la loro chiara opposizione ad ogni forma di dominio statale.
In particolare oggi che si vuole estorcere consenso alla guerra
permanente e che si costruiscono le figure fittizie del nemico, sia
esterno che interno, gli anarchici occupano un posto di assoluto
rilievo nell'intensificarsi dell'accanimento repressivo nei confronti
delle lotte politiche e sociali: non c'è dichiarazione,
audizione pubblica o rapporto nel quale il ministro di polizia non
additi gli anarchici come possibili autori di attentati. Condotte un
tempo non sanzionate o sanzionate in modo lieve possono oggi portare ad
accuse gravi ed al rischio di lunghe detenzioni. Migliaia e migliaia
sono le denunce e i procedimenti penali a carico di attivisti politici
e sociali nel nostro come in altri paesi.
Attività di informazione e di solidarietà
militante si
impongono per rompere l'isolamento nel quale la strategia del potere ci
vuole collocare per depotenziare e destrutturate ogni possibile fronte
di lotta.
E' importante leggere e spezzare ogni strategia di provocazione
– ben
viva nella nostra storia dalle bombe stragiste del 1969 in poi
– con la
quale si tenta di annullare ogni spazio di agibilità sociale
e
politica extraistituzionale e rivoluzionaria, di cui il movimento
anarchico e la FAI in particolare, sono forze ben vive e presenti. Uno
dei tasselli di tali strategie di provocazione è la presenza
di
una sigla identica alla nostra che viene ampiamente utilizzata in modo
aggressivo contro la FAI. Tanto ci basta per definire questa sigla
frutto di una volontà chiaramente provocatoria, magari
mascherata da pulsioni egemoniche nei confronti dell'intero movimento
anarchico. Sia chiaro che non assisteremo inermi a questa operazione ed
agiremo, con la dovuta energia, per impedire la chiusura del cerchio
repressivo.
L'attenzione all'autotutela del circuito militante e ad una opportuna cinta di sicurezza ai suoi contorni va coniugata con quell'esercizio di autoeducazione di vista e udito in ogni angolo della penisola che, sola, sarebbe un minimo indizio sufficiente ad una corretta percezione di ciò che si agita nel territorio. Solo con una netta presa di posizione seguita da pratiche coerenti, tese anche ad allargare il raggio di consensi e di agibilità pubblica del nostro agire politico, sarà possibile pensare di articolare credibilmente resistenza e contrattacco, capitalizzando in senso strategico una capacità di riflessione politica da sviluppare nella direzione emersa dal dibattito di questo XXV Congresso.
A proposito di lotta al terrorismo gli anarchici federati considerano
come unici terroristi i governi e le bande armate al loro servizio,
nascoste o palesi.
Gli sfruttati, gli oppressi sono sempre in condizione di legittima
difesa e ogni considerazione sui tempi e i modi della lotta sono di
opportunità politica.
Carrara 1 Novembre 2005
Vai all'elenco delle mozioni del XXV Congresso della F.A.I.
web-fai@federazioneanarchica.org